Venerdì anche Fitch, come in precedenza S&P Global Ratings (il 20 ottobre) e DBRS (il 27 ottobre), ha confermato il giudizio sul debito italiano, mantenendo la tripla B con outlook stabile.
A questo punto manca solo quello di Moody’s: l’appuntamento è fissato per venerdì prossimo e si preannuncia essere quello più delicato, per non dire decisivo per il nostro Paese. Infatti, l’agenzia americana, nella sua ultima “pagella”, era stata la più severa, valutando il nostro Paese all’ultimo “gradino” del rating d’investimento, con prospettive negative. Dopo, per dirla in 2 parole, si passa in un terreno a dir poco pericoloso: quello del “debito spazzatura” (junk). Cosa che non lascerebbe assolutamente indifferenti i mercati, come fa notare Barclays, secondo la quale, nella malaugurata ipotesi che l’agenzia USA dovesse emettere un giudizio negativo, nel giro di poco il nostro spread si ritroverebbe a 250 bp (ora “viaggia” intorno ai 185), facendo ripiombare l’Italia nell’incubo di un costo del debito fuori controllo. L’eventuale downgrade, infatti, portando il livello del debito in territorio “junk”, obbligherebbe società di asset management e istituzioni finanziarie ad alleggerire forzatamente le posizioni sull’Italia, in presenza di policy che obbligano al rispetto di precisi parametri in termini di assunzione di rischio.
Un’ipotesi, peraltro, considerata poco probabile: rispetto al momento in cui, qualche mese fa, l’agenzia aveva espresso il suo giudizio negative outlook, infatti, le condizioni che avevano indotto quel parere (ulteriori problematiche legate alla “messa a terra” del piano PNRR, crescita negativa, ulteriore espansione del debito) non si sono verificate, fatto che induce ad un certo ottimismo (favorito anche dai 3 esami sin qui superati).
I problemi, comunque, rimangono ben in vista: il primo, più importante, è sempre quello relativo alla capacità del nostro Paese di porre fine ad una crescita del debito che, alla luce anche dei costi necessari per mantenerlo (oramai vicini a € 100MD, pari a circa il 6% del PIL). La “traiettoria”, purtroppo, a detta di tutti è troppo lenta (dall’attuale 141,3% si passerebbe, nel 2026, ad un livello appena inferiore al 140%), esponendoci, nel caso in cui ogni cosa non andasse nel verso giusto, a rischi elevati. Basterebbe, quindi, una crescita inferiore a quella prevista per il prossimo biennio (stimata, dal Governo, al + 1,2% nel 2024 e al + 1,4% nel 2025) per rendere più difficile il raggiungimento dell’obiettivo (una minor crescita avrebbe, come immediata conseguenza, la diminuzione degli introiti fiscali, facendo aumentare la forbice della spesa). Senza contare quello annoso, legato alla capacità di attuare riforme strutturali per rendere più snella la nostra pubblica amministrazione e aumentare l’efficienza dell’apparato statale.
Gli esami, comunque, continuano anche per altri. Sempre Moody’s, infatti, venerdì sera, ha tagliato le prospettive del debito USA: pur mantenendo il massimo livello di rating (Aaa), ha ridotto l’outlook da stabile a negativo. Anche nel caso della prima economia al mondo, le cause rimangono sempre le “solite note”: un deficit elevato, destinato ulteriormente a crescere (si stima che dall’attuale 6% passerà all’8% nel 2033, tra il 2015 e il 2019 si trovava intorno al 3,5%), il debito, anche questo in continuo aumento (dal 96% del rapporto debito/PIL in cui si trova oggi dovrebbe passare al 120% nel 2033), il costo del debito, a proposito del quale Moody’s stima che dal 9,7% delle entrate fiscali e dell’1,9% del PIL 2022 arriverà a toccare rispettivamente il 26% e il 4,5% entro il 2033. Indubbiamente gli USA, a pari di giudizio (fermo restando un “punto di partenza” ben più solido), qualche vantaggio rispetto ad altri Paesi lo hanno, a partire dal fatto che il $ è la valuta di riserva globale e che il debito americano è comprato in tutto il mondo per lo stesso motivo, oltre al fatto che, sempre il $, è la valuta di riferimento per il commercio mondiale. Ciò non toglie che anche per gli Stati Uniti valgono le leggi di mercato.
La settimana si apre con gli indici asiatici moderatamente positivi, con variazioni marginali: si va dal + 0,05% del Nikkei a Tokyo, al + 0,25% di Shanghai al + 0,35% di Hong Kong.
Si preannuncia, invece, un’apertura più difficile per Wall Street, in considerazione del giudizio di Moody’s, con i futures in ribasso (– 0,30/40%). Ribassi che non condizionano, per il momento, l’Europa, con l’Eurostoxx che sale dello 0,38%.
In ribasso, questa mattina, il petrolio, con il WTI a $ 76,61 (- 0,83%).
Balzo del gas naturale Usa, a $ 3,151 (+ 3,69%).
“Tiene” l’oro, a $ 1.943,50, + 0,21%.
Spread a 183,8, “forte” del giudizio di Fitch.
BTP intorno al 4,54%.
Bund al 2,71%.
Treasury 4,65%, “impermeabile”, per ora, al declassamento dell’outlook sul debito USA.
Stabile l’€/$, a 1,0696.
Bitcoin che riparte da $ 37.040.
Ps: siamo nel pieno della stagione dei tartufi. Come ogni anno, ieri si è svolta a Grinzane Cavour, sulle colline appena sopra Alba, la tradizionale Asta mondiale. Un tartufo da 1 Kg (e 4 grammi, per l’esattezza) è stato “battuto” per € 130.000. Ad aggiudicarselo un acquirente di Hong Kong. Che dovrà anche sbrigare a mangiarlo, visto che non si può conservare in freezer…